lunedì 14 giugno 2010

21 Lune senza Te,21 Modi per Dirti Ti Amo.(Carmen,that's for you)

Guardava le rondini volare sul lago,leggermente increspato dalla brezza. Che strana estate. Fredda,gelida. Quella era una delle poche giornate di sole che erano riuscite a  farsi strada tra le nuvole.
Si dice che ci sono vari inizi nella vita di una persona;o meglio,varie nascite. Lei era nata per la seconda volta un anno prima,in uno sguardo intenso che l'aveva fatta diventar grande tutto d'un botto.
Sì,era diventata grande più per un semplice sguardo che per tanti anni di litigi,dolori,urla,ginocchia sbucciate,lacrime sciocche e solitudini incomprensibili a mamma e papà;c'era voluto COSì POCO per diventare grande,e non tanti anni di margherite raccolta dai prati e infilate dietro le orecchie,orecchie che venivano poi adornate da orecchini d'oro o d'argento,perchè così voleva mamma;tanti anni di discussioni con le amichette,di amorazzi che nascevano e si spegnevano come fuochi fatui in una palude,di prime volte piene di dolore e bagnate di lacrime,di rimorsi,rimpianti,singhiozzi. E in una giornata come tante,uno sguardo. Dato di sfuggita,per di più.

Uno sguardo nemmeno tanto bello,nemmeno tanto intenso,così cercava di giustificarsi a distanza di 365 giorni e più. Uno sguardo dato da occhi scialbi,che non avevano nient edi particolare se non d'essere cerchiati di colore più chiaro.
Guardava il lago,lei,e sorrideva. Quando pensava a quello sguardo,sentiva il freddo della parte del suo cuore che sovrintendeva all'amore uomo-donna,sciogliersi. Sentiva caldo,nel cuore. Amore,lo sentiva ribollire dentro di sè come lava.

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Lui guardava il lago,quel giorno. Era passato un anno dal momento in cui quegli occhi così azzurri avevano incontrato i suoi. Il gelo gli riempì il cuore,mentre le rondini sfrecciavano nel cielo senza nuovle.
Scriveva distrattamente poesie su un taccuino,poesie che parlavano di morte,amore,resurrezione,dei inesistenti,rondini e infinito. Pretendeva,con le sue poesie,di liberarsi del vuoto nel suo cuore,di riempirlo,di trovare quale fosse l'ulcera che sanguinava,e di riuscir a ripararla. Di scoprire sè stesso.
Ma più scriveva,meno capiva. Meno capiva di se stesso,quell'anima inquieta che viveva a suon di violino e di pianoforte che non sapeva suonare;la cui vita era una disegno che non era capace di riprodurre.
Scriveva,ma quel tipo d'arte non gli bastava. E tutto ciò che gli rimaneva dentro lo traduceva in sospiri,in lacrime trattenute. In  rabbia,in decisioni che anche lui si rendeva conto essere senza senso.
Rilesse lentamente il suo nome scritto sul taccuino. Gli sembrò un nome così insensato,così BRUTTO,così fuori luogo in quel paese così strano e pieno di contraddizioni. Come lui. Forse era nato per essere italiano,seppur diceva d'odiare quel popolo.
Scavava dentro sè,con quelle poche parole che riusciva a far uscire dal proprio animo,ma non faceva altro che trovare altra roccia. Col tempo aveva iniziato a convincersi d'essere di roccia,che niente e nessuna gli avrebbe mai veramente messo in subbuglio quel cuore di granito,pieno solo di sensi di colpa e rimpianti,rimorsi e dannazione per se stesso. Spesso si immaginava nel girone degli ignavi,nell'antipurgatorio,a correre dietro a un cartello privo di significato,nudo,punzecchiato da vespe. E si vedeva piangere,piangere lacrime di pentimento e d'amore,lacrime d'amore che in vita non s'era mai permesso di piangere.
In quella radura desolata che lui considerava,molto poeticamente e poco realisticamente,il suo cuore,vedeva solo deserto. Non una goccia d'acqua,non un briciolo di vita e d'amore.

Piangeva,quando lo faceva, per se stesso. Per il suo cuore gelido ma sterminato,voglioso d'amare ma incapace di farlo. COme un bambino troppo piccolo che mai crescerà,ma che vuole imparare a camminare.

E fissava il lago,e si scoprì pensare a lei,a come avesse desiderato che lei lo avesse ferito,lo avesse fatto star male;a come avesse voluto che lei gli avesse finalmente vomitato addosso tutto il suo odio e il suo disprezzo per la sua codardia;che gli avesse urlato tra le lacrime,il suo amore,e non sussurrato in un mormorio pieno di orgoglio e onore infranto. Aveva voluto che lei fosse stata più forte,più stronza,sì,stronza come quelle donne dei film,che hanno il cuore che ribolle d'amore per uomini privi di fegato e di barba. Cosa avrebbe dato perchè lei lo avesse sbattuto addosso ad un muro,e alzatasi la gonna,gli avesse slacciato i pantoloni nella frenesia di averlo dentro di sè.
Ma era ben cosciente che lei non l'avrebbe mai fatto. Quando mai sarebbe andata contro il suo orgoglio?

Sentì un morbido "tonf" nella sabbia accanto a sè. Si girò e vide una rondinella,col petto bianco,che sbatteva le ali senza riuscire a rialzarsi. Sorrise,la prese tra le mani,e la lanciò in aria.
Tornerò da te.
E si decise a compiere quel passo nel vuoto. Non aveva nulla da perdere ormai.

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Lei lo guardava avanzare con passo lento lungo la spiaggia. Teneva lo sgaurdo basso sulle proprie scarpe,che affondavano nella sabbia. Non ricordò poi le sue sensazioni in quel momento. Confusione,forse? Meraviglia? La sua figura che s'avvicinava aveva dell'assurdo,assomigliava ad un incubo: non ad un sogno,perchè non riusciva a credere che tutto ciò avrebbe potuto avere un lieto fine. Ma cos'altro sarebbe mai potuto venire a fare,pensò mordendosi le unghie. Che bambina che sono. Su,sii donna. Cosa mai sarà? E' una tortura,ma temprerà l'anima,piccola mia.
Lui le si sedette accanto,morbidamente.

Penso di doverti alcune scuse.

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